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Avevo in mente, e ce l’ho ancora, di parlarvi della nomenclatura delle piante. E cade a fagiolo l’articolo, che sempre a questo riguardo, troverete nel numero di febbraio di “Giardini”. Era un po’ di tempo che non acquistavo la rivista; l’ho trovato tutta rinnovata. Mi dispiace di essermi persa un po’ di numeri; leggo che la rivoluzione è avvenuta in settembre. Visti gli articoli così interessanti, spero di non aver perso troppa roba.
A dirla tutta, però, pur se la rivista necessitava di un cambiamento, tuttavia mi pare che ci siano troppi articoli tecnici in un solo numero. Uno alla volta mi sembrerebbe più commestibile! Siccome non ho il tempo di scrivergli, spero che mi leggano, non si sa mai... confido in internet!

Tornando a noi, sono contenta, dicevo, perché i due articoli si integrano bene. Quello su “Giardini” è la giusta premessa a quello di cui voglio parlarvi. Consiglio perciò di tenerli in un unico dossier, sarà utile al momento delle consultazioni.

Alla sezione Nomenclatura troverete “Glossario degli attributi specifici”. Non è certo farina del mio sacco; ho spulciato tra vecchie carte e fotocopie, cose così vecchie, che ne ho dimenticato purtroppo la fonte. Ma ricordo ancora la gioia che ho provato quando ho trovato queste informazioni, perché se è vero che la rosa rimane bella e profumata anche se non ne conosci il nome, è più vero ancora che il piacere si rinnova ogni volta che ne parli con qualcuno. E il desiderio di dare nomi è vecchio quanto la storia dell’uomo: In qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Gen. 2, 19b

O per essere più profani, molti di noi più avanti cogli anni ricorderanno l’affanno per vedere la famosa cattleya proustiana. Oggi è difficile crederlo, quando anche nei negozi di fiori più decentrati le commesse parlano tranquillamente di cattleye e cymbidium, “Fare cattleya” dicevano Odette e Swann, per dire fare all’amore, perché lei quel giorno, il loro primo giorno, portava una cattleya alla scollatura.
Ci sono nomi carichi di significato: ti puoi innamorare di una pianta mai vista solo per il fascino del suo nome o può succedere l’opposto. Ieri parlavo di un arbusto bellissimo, l’Abeliophyllum distichum, e io credo di non essere lontano dal vero se dico che forse parte della sua mancata popolarità può dipendere da un nome così arcigno.

Ma veniamo al sodo. La nomenclatura delle piante, che un tempo era costituita da frasi descrittive, lunghe e spesso vaghe, fu stabilita da Carl von Linné, detto Linneo, nell’opera Species plantarum (1753) in un ordine che, per quanto sia stato in seguito rimaneggiato e perfezionato, rimane fondamentale nell’essenza e costituisce la cosiddetta sistematica.
Il suo scopo è di evitare qualsiasi confusione derivante da lingue diverse o nomi locali imprecisi e normalmente, nel suo ambito, le piante per essere chiaramente identificate necessitano di soli due nomi: quello del genere e quello della specie, che dovrebbe essere denominato “attributo”; questo tipo di nomenclatura viene perciò chiamato binomìa o sistema binomiale.

Di questo , troverete un’estesa spiegazione appunto su “Giardini”. Ed è la parte da leggere per prima. Il Glossario è invece un’opera di riferimento, di consultazione, ma sono certa che alcuni lo troveranno appassionante!

L’etimologia dei nomi dei generi si può far risalire a circa una dozzina di nomi classici latini o greci (già usati nell’antichità) e ad altri formati da parole greche o latine in epoca moderna, oppure può essere derivata da nomi personali, geografici o locali.
Quello che c’interessa ora è in riferimento al genere, poiché per la maggior parte gli attributi specifici sono aggettivi e dovrebbero concordare con esso, anche se spesso ciò non avviene.
I generi il cui nome termina in –us sono quasi tutti maschili, tranne quelli di alberi (con l’unica eccezione di Acer, che è neutro). Narcissus è maschile, Platanus, Populus, Quercus, sono femminili. Quelli derivati dal greco e terminanti in –on sono maschili, tranne alcuni casi in cui sono neutri e spesso avviene che per facilitare e sottolineare il genere, se ne trasforma la desinenza in –um, latina; sono neutri in ogni modo quelli che terminano in –dendron “albero” e talvolta sono anch’essi mutati nella forma neutra latina: è così che possiamo indifferentemente trovare Clerodendron o Clerodendrum, essendo il secondo soltanto l’espressione latina del genere neutro mentre la derivazione rimane greca.
La maggior parte dei nomi terminanti i –a è femminile, ma quelli che terminano in –ma sono neutri (come Aglaonema). La maggior parte dei nomi terminanti in –ago, –ix, –odes, –oides, –is, –es è femminile. I nomi terminanti in –um sono tutti neutri.

Ecco dunque una prima guida per comprendere gli attributi specifici che diventano molto più facili da ricordare quando se ne sia capito il meccanismo. Il termine “attributo”, anziché “nome”, è più esatto proprio perché di solito si riferisce a una parola che è un aggettivo o un participio; spesso esso è descrittivo, dal momento che dà una un’indicazione, sia pur approssimativa, su colore, forma, portamento e persino habitat della pianta. Gli attributi inoltre possono essere formati da genitivi di nomi comuni, propri, singolari e plurali, e riferirsi a persone o luoghi (deserti = del deserto, desertorum = dei deserti, lindleyi = di Lindley, davidii = di David); in tal caso non sono influenzati dal genere del nome che li precede e non saranno quindi inclusi nel “Glossario degli attributi specifici” Né saranno elencati gli attributi che, pur essendo aggettivi, si riferiscono chiaramente a luoghi di origine e sono quindi di immediata comprensione (japonica = giapponese, del Giappone), né quelli che, qualunque sia la loro terminazione, si riferiscono a identità più o meno plausibili con altri generi o parti di essi: la loro desinenza è spesso –oides (simile), –folius (foglia) e –florus (fiore); essi seguono le regole generali degli aggettivi e sono di facile intuizione (es. geranioides = simile al Geranium, acanthifolius = dalle foglie simili all’Acanthus).

Per il resto possiamo dividerli in tre grandi categorie:
Quelli in cui i tre generi hanno tre forme diverse terminanti in –us, –a, –um oppure in –er –a –um , rispettivamente per il maschile, femminile e neutro.
Quelli in cui il maschile e il femminile hanno la stessa forma e il neutro ne ha un’altra, possono cioè avere la desinenza in –is –is –e oppure in –os –os –on.
Quella in cui i tre generi hanno la stessa forma.

Quando perciò si troverà dopo l’attributo l’indicazione delle altre terminazioni, ciò significherà che esso può cambiare a seconda del genere e indicherà, allorché sarà incontrato nel testo, il genere del sostantivo che lo precede. Per esempio, se nel glossario troveremo albus –a –um e nel testo, alla voce relativa, Populus alba, sapremo che Populus è femminile, mentre per sapere che Begonia discolor è femminile, dovremo basarci sul nome Begonia, dato che discolor ha la stessa forma in tutti e tre i generi.

Evidentemente, per noi la comprensione di molti termini risulta più semplice che per altri popoli, dato che gli attributi specifici sono in gran parte di derivazione latina (non bisogna dimenticare che la “diagnosi” ossia la descrizione di una pianta al fine di denominarla, deve tuttora essere fatta in latino) e che quindi molte parole hanno radici comuni all’italiano, se pure non significano esattamente la stessa cosa; sembrerebbe perciò inutile l’elencazione per molte di esse anche se non bisogna dimenticare che si tratta sempre di latino “volgare”, e cioè non classico, in cui il significato originario si è spesso perduto o è cambiato, celando così i mille tranelli delle lingue simili tra loro, che sono spesso più ingannevoli di quelle con caratteristiche completamente differenti.
I termini elencati sono tuttavia, per ovvie ragioni, una selezione di tutti quelli esistenti.

In un’altra puntata della saga “Mariangela colpisce ancora” parleremo della pronuncia.

Ora vi lascio, perché so che state fremendo dalla voglia di leggere il “Glossario degli attributi specifici” e non voglio trattenervi oltre dal godimento che vi attende.
Mi hanno spesso chiesto se fossi un’insegnante, così una volta chiesi a mio marito cosa in me li portasse a pensarlo. Risposta “Gli ricorderai i loro peggiori incubi!”



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